Dai campi sterrati alla Serie A, con 76 partite tra Siena, Palermo, Chievo e Carpi. Oggi, in attesa di definire gli ultimi dettagli che lo riporteranno in Libia alla guida dell’Al-Ahly Benghazi, Giuseppe Sannino si racconta a TuttoAtalanta.com. Allenatore di lungo corso, 68 anni, ha guidato squadre in Italia, Inghilterra, Ungheria, Grecia, Arabia e in Svizzera, dove nell’ultima stagione era al Bellinzona. Con il suo linguaggio diretto, fatto di campo, fatica e verità, ha commentato la prima giornata di Serie A, soffermandosi anche sull’Atalanta e sul caso Lookman.
Mister, dalla prima giornata di campionato è già emersa qualche tendenza significativa o è troppo presto?
«È troppo presto. Credo che l’inizio del campionato sia condizionato dal mercato ancora aperto, che distrae i giocatori e non consente di avere la testa completamente in società e squadra. Per quanto riguarda i risultati, il Milan ha perso ma non significa nulla. La Juventus ha vinto, la Lazio ha faticato a Como e la Roma ha disputato una buona partita contro un Bologna altrettanto valido. È stata una prima giornata in linea con le attese: alcuni risultati scontati, altri a sorpresa, ma questa è la Serie A».
Abbiamo visto le neopromosse giocarsela alla pari: una tendenza che si conferma?
«Non ci sono più squadre “sparagnine”. Anche quelle meno attrezzate non si limitano a contenere i danni contro le big. Se fai punti con le grandi, come ha fatto la Cremonese, sono risultati pesanti. Oggi tutte provano a giocarsela e per le squadre più forti diventa complicato».
La Serie A è ancora il campionato più difficile?
«Sotto l’aspetto tattico sì, lo è. Gli allenatori italiani sono i migliori al mondo. Per chi arriva dall’estero non è semplice. Per la bellezza del calcio, invece, bisogna guardare all’Inghilterra, dove si gioca fino all’ultimo senza la paura del risultato. L’ho vissuto sulla mia pelle. In Francia e Spagna comandano sempre tre squadre, in Germania una. Da noi è diverso. Il nostro calcio sarà criticato, ma resta il più complicato».
Chi vede come favorita per lo scudetto?
«L’Inter parte davanti, ma vedo molto bene anche la Roma di Gasperini. Quando entra nel cuore di un progetto e soprattutto dei tifosi, ottiene grandi risultati. Non è simpatico a pelle, ma se lo lasciano lavorare può fare cose importanti. Credo anche nel Milan di Allegri che, come Conte, è un grande allenatore. Conte è più tecnico, Allegri è un gestore, intelligente e pragmatico. La sua priorità sarà la Champions: di scudetti ne ha già vinti tanti. Anche la Juventus ha un buon tecnico, serio e determinato, capace di ambire a qualcosa di importante. E poi il Como: ha speso molto, ha preso giovani di valore e potrebbe essere l’anno della consacrazione».
E l’Atalanta?
«Nei nove anni di Gasperini ha costruito qualcosa di straordinario. Pensavo potesse diventare il Ferguson di Bergamo. Ha portato la città ai vertici europei, ha fatto parlare di Bergamo nel mondo. Con queste premesse, chi arriva si prende un fardello enorme. Juric è stato suo giocatore e ha un credo simile, ma non credo nei “sosia” e nei copia-incolla. Mi auguro che possa dare continuità, ma sono un po’ perplesso».
Quindi oggi la vede fuori dai giochi di vertice?
«Io sono un bastian contrario: l’allenatore conta, eccome. Conta sempre. Auguro all’Atalanta che Juric possa essere come Gasperini, perché la squadra ha bisogno di continuità tecnica».
Lookman: lo reintegrerebbe o rischia di compromettere gli equilibri?
«Io Lookman lo vorrei sempre. È stato un pilastro della squadra. Come allenatore e come società farei di tutto per tenerlo. È normale che un ragazzo ambisca a qualcosa di meglio, ma bisogna provare a convincerlo, perché è un grandissimo giocatore».
Chi potrebbe essere il giovane emergente del campionato?
«Avrei detto Giovanni Leoni, ma è andato al Liverpool. Pio Esposito all’Inter può essere una sorpresa, ma dipenderà dallo spazio. Mi incuriosisce Nico Paz del Como, e Yildiz della Juventus. Il problema è che parliamo quasi sempre di stranieri, mentre le nostre Nazionali giovanili producono talenti che poi si perdono. Non capisco perché».
Ci sono possibilità di rivederla su una panchina italiana?
«Ho 68 anni e sono tanto che giro il mondo. L’Italia mi manca, ma per me il calcio è passione, avventura, culture diverse. Accetto ovunque ci sia possibilità di lavorare. Non dico mai no, ma so che il mio tempo in Italia è finito. Il futuro è altrove».
Non ha mai pensato di essere considerato un personaggio scomodo?
«Io dico quello che penso. Se vedo qualcosa che non mi piace, lo dico. Non si deve pagare per questo: bisogna essere giudicati per il lavoro. “Scomodo” significa essere veri, leali, passionali. Io credo che i giocatori siano i primi a dire se un allenatore ha lavorato con serietà e valori morali. E questo, ovunque sia stato, non mi è mai mancato».
Quella di Sannino resta una voce fuori dal coro: non parla per compiacere, ma per costruire. Chi lo ha avuto in spogliatoio non ricorda soltanto un allenatore, ma un uomo. E se in Italia c’è poco spazio per figure autentiche, forse è il nostro calcio ad aver perso qualcosa. Non lui.
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