Inutile girarci intorno. Sono fra i giocatori più bravi della nostra serie A. Sono certamente fra i più pagati (se non i più pagati). Sono tutti e tre casi di mercato.
Sono diversi, obiettivamente, da raccontare. Ma sono poi molto simili, in profondità. E sono - praticamente - lo specchio della nostra serie A. In maniera molto cruda potremmo anche arrivare a tirare fuori una morale: i soldi contano più della tecnica.
Che Osimhen fosse sul mercato lo sapevamo da quando aveva rinnovato. Il suo prolungamento e adeguamento contrattuale era propedeutico alla partenza. La scorsa estate non era partito, ma le offerte negli uffici di De Laurentiis non erano mancati. E quindi era neccessario rinnovare per non perdere il valore del giocatore (a un anno dalla scadenza il prezzo non sarebbe potuto essere pieno) e con il rinnovo doveva arrivare anche un sostanzioso ingaggio, in linea con quelli dei bomber europei. Perché la caratura è quella, non giriamoci intorno. Solo che l’anno tremendo del Napoli e di conseguenza anche quello di Victor non hanno permesso alla società e al giocatore di arrivare (finora) alle richieste. In più mettici dentro l’Europeo, che ha tardato l’inizio del mercato dei big. Mettici dentro che il fair play finanziario interno inglese ha praticamente dimezzato le spese (e quindi ci sono meno soldi in giro). Mettici dentro che anche dall’Arabia non ci sono i soldi delle passate stagioni. Mettici dentro che il giro dei grandi attaccanti praticamente non è partito. Ecco che nasce l’impasse. Osimhen si allena a parte e il Napoli ha il mercato bloccato. Certo ora andrà a chiudere per Neres, ma un conto è avere tutta la squadra al completo (con Lukaku, con Gilmour, magari anche con McTomnay) e un conto è aspettare. Aspettare che arrivi un’offerta, praticamente impossibile da tripla cifra, e poi completare la squadra. Ma il Napoli, in fin dei conti, è costretto a dare uno dei suoi migliori giocatori, probabilmente non al prezzo che vuole, perché ora guadagna decisamente troppo rispetto agli standard che il Napoli si è sempre dato.
La Juve ha deciso di dare uno dei suoi migliori giocatori. Anzi di metterlo fuori dal progetto. Non è una questione tecnica, o per lo meno non è solo una quesitone tecnica. Non possiamo pensare che l’esterno titolare della Nazionale Italiana, quello a cui avevamo affidato buona parte delle nostre residue speranze all’Europeo ora non possa giocare nella Juventus, che sia diventato improvvisamente un brocco. Chiesa, semplicemente, guadagna tanto ed è in scadenza contratto, non avendo intenzione di rinnovare. Insomma: un grande costo per le casse della Juventus a fronte di un rendimento (causa soprattutto infortuni) certamente non in linea con le aspettative. La Juventus non ci ha pensato su neanche un momento: Chiesa non è con noi. E’ sicuramente uno dei giocatori più pagati della Juve che è disposta a correre il rischio. Pugno duro, fino alla fine. O se preferite idee chiare, senza lasciare che ci possano essere equivoci.
Tutti dalla stessa parte: allenatore, dirigenti, proprietà. Dall’altra Chiesa. La domanda “e se rimane” non è al momento neanche presa in considerazione, ma non cambierà idea la parte sportiva della Juventus. Se Chiesa non è utile il 20 agosto, non sarà utile neanche il 1 settembre (anzi il 31 agosto). E quindi? Quindi deve trovare una sistemazione: una soluzione che gli vada bene il che non è proprio semplice e scontato. Ma almeno non può dire, Chiesa, che non lo sapeva dall’inizio del mercato (anzi anche da prima).
Cosa che invece è successa a Dybala. Anche qui il contratto pesa, non si può dire altrimenti. I 7 milioni netti a cui ha diritto (per la formula del suo contratto: i primi due anni il contratto era da 3,8 più premi che a partire dal terzo anno avrebbero fatto base, come si dice in gergo, se raggiunti) ora diventano una cifra rilevante per una Roma che sta cambiando pelle. Snellire, asciugare, ripartire. Vendere e comprare, dopo aver speso inizialmente. Senza considerare che il contratto di Dybala ha anche una clausola di rinnovo automatico: al 50% delle presenze nei tre anni, sarebbe scattato anche il quarto. E per arrivare a questo numero Dybala basta che giochi 14 partite con la maglia della Roma. Insomma: il contratto fatto due anni fa, che sembrava un miracolo, visto che si era riuscito a mettere un campione con Dybala in rosa ora diventa un problema. Quelle clausole (presenze, premi, giocate) che dovevano garantire la Roma di non spendere a prescindere per Dybala, ma di spendere per quanto “goduto” spingono la società a prendere in considerazione delle offerte. Spingono la Roma a lasciar intendere a Dybala che è da prendere in considerazione l’Arabia. Che non è più centrale, che più ai numeri in campo si guarda ai numeri sul bilancio.
Tutto legittimo. Tutto giusto. I conti dovrebbero venire sempre prima di tutto. Quello che balza all’occhio è che sacrificati sull’altare dei numeri c’è la qualità. I giocatori più bravi (e più cari) sono messi alla porta, spinti alla cessione, spostati di lato. Le volontà dei giocatori (che in qualche caso indirizzano in maniera decisiva le trattative) sono in secondo piano. Contano le volontà delle società. Non è la prima volta, ovvio. Forse - a memoria - è la prima volta che succede per giocatori ritenuti così importanti. Ed è un segnale per il nostro movimento calcistico, al di là della fede. E’ giusto che le società si riprendano la necessità di programmare, di tracciare una linea, di avere una filosofia comune. E’ anche un bel segnale. Meno che a causa delle difficoltà che il movimento attraversa si sia costretti a fare queste scelte drastiche, a prendere queste posizioni al limite. Che ti espongono a rischi, paradossalmente per non correrne altri. E che quindi lanciano un ulteriore segnale sullo stato di salute del nostro calcio.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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