Nessuno ha trattato Roberto Mancini come Pacciani. Però sì, le critiche per chi un paio di settimane dopo le dimissioni da ct dell'Italia ha annunciato in pompa magna il suo accordo con l'Arabia Saudita ci sono state e anche feroci. Dai giornalisti, soprattutto dall'opinione pubblica. Ma come poteva essere altrimenti? Passi pure il ruolo (anche se quello di commissario tecnico dell'Italia non è proprio un ruolo qualsiasi...), ma perché provare ad arrampicarsi sugli specchi quando vai in Arabia solo e soltanto per una questione economica? Tutto legittimo perché per quasi tutti è ormai solo e soltanto una questione economica. Ma sarebbe stato meglio evitare inutili giustificazioni, evitare di accettare il ruolo di supervisore delle Nazionali per poi rinunciare a tutto nove giorni dopo perché altrimenti non puoi andare avanti nella tua trattativa. Anche perché Fali Ramadani, il grande architetto di quest'affare, lavorava all'operazione da settimane e le cifre sul piatto fin da subito erano di quelle importanti.

Dare le dimissioni dal ruolo di commissario tecnico dell'Italia per diventare il nuovo commissario tecnico dell'Arabia Saudita. L'avessimo scritto due anni fa ci avrebbero preso per pazzi e invece oggi è tutta realtà. E non ci stupisce. Del resto questa estate aveva già preparato il terreno a un mercato che acquista tutti e ovunque. "I club mostrano un certo fastidio per l'interesse dell'Arabia Saudita, ma quando bussano alla porta stendono un tappeto rosso e vendono tutto. Come dire, prima si lamentano, poi aprono la porta", ha detto la scorsa settimana Pep Guardiola, che è (anzi era, ora c'è Mancini...) l'allenatore più pagato al mondo e anche questa estate ha fatto acquisti per 200 milioni di euro. Se si lamenta lui, figurarsi gli altri... Ma la verità è che anche il City quest'anno ha dovuto cedere una sua stella al fondo PIF: Riyad Mahrez all'Al-Ahli. Che è poi lo stesso club che qualche settimana più tardi ha strappato Gabri Veiga al Napoli. Altro trasferimento che ha fatto molto discutere perché la Saudi Pro League non è più solo il campionato dei giocatori a fine carriera, ma sta già diventando anche quello delle stelle emergenti. E del resto se da un lato il Napoli offre due milioni l'anno e dall'altro l'Al-Ahli ne offre dodici, dov'è la competizione? Voi cosa avreste scelto?

Non c'è una risposta giusta. Non c'è una risposta che vada bene a tutti ma in tanti hanno detto sì a quei petroldollari figli anche di una precisa strategia dell'OPEC che ha portato all'aumento della benzina. L'obiettivo con quei proventi è diversificare e cosa c'è di meglio del calcio per creare una nuova fonte di reddito?
Tanti hanno ceduto alle offerte che non hanno paragoni col mercato europeo e così, un anno dopo Cristiano Ronaldo, si sono mossi per andare in Arabia Saudita anche Mahrez, Gabri Veiga, Manè, Benzema, Firmino, Kessiè, Koulibaly, Mitrovic, Neymar, Ruben Neves, Kantè, Fabinho, Jota, Brozovic, Otavio, Fofana, Alex Telles, Edouard Mendy e tanti altri...
C'è poi chi ha detto no, come Allegri, Szczesny o Zielinski, ma la verità è che se il Principe Mohammad bin Salman deciderà di spingere così forte sull'acceleratore per un altro paio d'anni la Saudi Pro League diventerà presto il campionato più competitivo al mondo. Anche più della Premier League.

C'è troppa disparità economica per poter competere. L'Europa si sta presto trasformando nel Sud America dell'Arabia Saudita, ovvero un enorme serbatoio di calciatori da cui attingere al momento opportuno. Come abbiamo visto, non è più solo una questione di stelle a fine contratto. E' tutto l'impianto geocalcistico che si sta modificando, con conseguenze che vanno ben oltre la singola finestra di calciomercato.
Per molti l'exploit della Saudi Pro League è la morte del calcio perché è un movimento senza tradizione che basa il tutto solo su offerte faraoniche. Per molti, questo calcio rappresenta il distacco definitivo dalla sua radice popolare perché ormai poco o nulla ci racconta delle nostre vite. E' troppo distante da noi.
Tutto giusto. Ma basterà questo per portare al totale disinteresse? In Sud America, ad esempio, non è mai stato così. Anzi. Ma c'è anche una tradizione molto solida come del resto in Europa e infatti oggi non ci sono meno tifosi negli stadi solo perché tante stelle hanno scelto l'Arabia.
Ma il futuro è tutto da scrivere, quantomai incerto. Bisognerà capire quanto la generazione Alpha farà ancora il tifo per le squadre e quanto, invece, per i singoli calciatori. Bisognerà capire se il mondo arabo che conta 450 milioni di persone sostituirà anche nel tifo usi e tradizioni europee e quanto il calcio europeo riuscirà, anche grazie alla sua storia, a restare competitivo. Bisognerà capire quanto le istituzioni calcistiche riusciranno a calmierare un movimento che oggi spende e spande anche in virtù di una totale assenza di regole. Perché non è finita qui, nemmeno per questa estate: basti pensare che in Arabia Saudita il calciomercato non chiude venerdì come nei top campionati europei ma si potrà acquistare fino al prossimo 20 settembre. Si salvi chi può. Anche se forse - parafrasando Guardiola - nessuno vuole davvero salvarsi.

Sezione: Altre news / Data: Mar 29 agosto 2023 alle 10:00 / Fonte: Raimondo De Magistris per TMW
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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