Ma da quando abbiamo deciso che la Nazionale debba essere un punto di partenza e non di arrivo? Da quando la carta d'identità è diventata l'elemento fondamentale attorno a cui far ruotare le convocazioni? La conferenza stampa post eliminazione di Luciano Spalletti e Gabriele Gravina oltre ad aver confermato che ormai non basta un fallimento (ma nemmeno due) per fare un passo indietro, ci ha consegnato il nuovo spot per l'Italia che verrà: "Ripartiremo dai giovani". Che vuol dire tutto e non vuol dire nulla, ma va sempre di moda e in un momento di difficoltà sembra sempre la frase giusta da dire. Sembra.
C'è tanta retorica e ci sono tante frasi fatte attorno al tema dei giovani. C'è soprattutto un dettaglio che sfugge o che facciamo finta di non vedere: si sta parlando della Nazionale, che non è un club né un Under attraverso cui sperimentare. Un commissario tecnico non deve valorizzare i calciatori così da aiutare il club a venderli al triplo, un CT i suoi calciatori li allena per troppo poco tempo per incidere. Il selezionatore della Nazionale deve ottimizzare tutto ciò che lo circonda, deve mettere insieme il meglio che c'è e poi metterlo nelle condizioni migliori possibili per ottenere il massimo. Noi invece dopo il trionfo di Wembley abbiamo deciso di dover fare esattamente il contrario. Gli incubi di Palermo e la mancata qualificazione Mondiale avrebbero dovuto portare in dote la tabula rasa, le dimissioni di tutti. E invece nulla: Gravina per confermare sé stesso nella sala stampa del Barbera confermò il commissario tecnico e al via grandi proclami. Annunci di roboanti riforme e cambi radicali declinati con lo slogan 'Ripartiremo dai giovani'.
Era maggio 2022. Roberto Mancini in quella occasione passò dalle parole ai fatti convocando a Coverciano 53 ragazzi per uno stage: da Sorrentino a Vicario, da Zortea a Fagioli, da Franchi a Udogie. Il Centro Tecnico Federale per qualche giorno si trasformò in un campo estivo e alcuni di quei giocatori - dopo la netta sconfitta di Wembley contro l'Argentina - furono premiati rientrando nel gruppo della Nazionale per le quattro gare di giugno della Nations League. Erano Matteo Cancellieri e Alessio Zerbin, Salvatore Esposito e Wilfried Gnonto, giocatori che non erano pronti per vestire la maglia della Nazionale A e che infatti, sgonfiatosi lo spot, sono naturalmente ritornati nelle retrovie. L'ex commissario tecnico che commise l'errore di non dimettersi dopo Palermo da quel momento in poi s'infilò in un tunnel senza uscita. Nel successivo dicembre portò a Coverciano addirittura 69 calciatori per: "Agevolare la transizione dalle giovanili alla Nazionale maggiore e ampliare la base dei calciatori selezionabili in vista dei prossimi impegni dell'Italia". Inutile dire quanto sia stato inutile... Chi doveva fare la sua carriera l'ha fatta, chi non la doveva fare non l'ha fatta. Sicuramente questa idea di 'accessibilità', di una Nazionale alla portata anche di chi ha tre presenze in Serie A, ha completamente ribaltato lo scenario. Ha tolto sacralità a una maglia che da punto d'arrivo si è trasformata in un punto di partenza.
Roberto Mancini da questa commistione di giovani da dover mettere in vetrina e risultati da dover ottenere non ci ha tirato fuori nulla di buono, è entrato in un vicolo cieco in cui si sta infilando anche l'attuale CT. Luciano Spalletti che in questo Europeo ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare invece di fare un passo indietro il giorno dopo il crollo di Berlino ha deciso di rilanciarsi con uno slogan di cui poi dovrà tener conto come 'Ripartiremo dai giovani'. L'ha fatto grazie al supporto interessato di Gabriele Gravina che ora non può permettersi scossoni perché presto - il prossimo 4 novembre - verrà eletto il presidente FIGC e lui nonostante tutto potrebbe ripresentarsi per il terzo mandato. Discorsi, ragionamenti e trame che inevitabilmente coinvolgono la Nazionale, che fissano dei paletti di cui poi tutti dovranno tener conto. Soprattutto Spalletti.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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