Con buona pace delle proprietà americane che affollano le scrivanie del nostro calcio, il modello Red Bull da noi non potrà mai funzionare. Perché fa rima con programmazione, pazienza, pure errori, sbagli, tentativi, azzardi. In Italia invece il modello del pronto subito, dell'immediato, del cotto e mangiato, è quello che da sempre va per la maggiore. Ci possono essere delle eccezioni, ma quando la pressione sale ecco che i margini d'errore vengono limitati pure in quei casi. Quello dei bibitari torna di moda, come modello, ogni volta che rientrano in ballo le proprietà statunitensi che del metodo Moneyball e dell'idea altrettanto rivoluzionaria di scouting di Ralf Ragnick hanno fatto due capisaldi e ossessioni progettuali. E adesso che Jurgen Klopp, visto dagli statunitensi come santone e riferimento per le rispettive panchine (qualcuno ha detto Milan?), è diventato il deus ex machina del nuovo gruppo sportivo RB... Apriti cielo.
La geografia di Red Bull e l'assurda ambizione italiana
Salisburgo. Lipsia. New York. Bragança Paulista. Anif. Sono le città dove hanno sede le squadre della galassia dell'energica azienda di Dietrich Mateschitz. E ora che insieme al signor LVMH, ovvero Bernard Arnault che è niente popò di meno che il quarto uomo più ricco del mondo, nella mappa può aggiungere Parigi… Pensa al Paris FC, che non ha tradizione e che è transitata in Division 1 solo tre volte negli anni '70 con ben poca gloria. Luoghi quasi ameni per il pallone, dove far calcio è più semplice perché la piazza non pressa, perché la stampa non costringe, perché tutto è più leggero e allora si può far azienda, marketing, scouting e pure cercare talenti negli angoli più remoti del mondo con una filosofia omologata. Come si può anche solo pensare che questo modello possa essere replicato a San Siro, all'Olimpico, a Torino?
Gli spunti virtuosi. E i modelli che funzionano in Italia
Quello Red Bull è un esempio straordinario. Ma Klopp che diventa Ralf Rangnick e sublima quel ruolo non è qualcosa che in Italia potremmo (dovremmo) vedere. Perché ogni ambiente ha delle proprie specificità e gli esempi del calcio recente dimostrano che i modelli vincenti sono altri. Certo, anche da noi, quello RB può portare degli spunti straordinari. Il coraggio nello scouting. Nel credere nei giovani. Nell'azzardare. Nel rischiare. Ma i modelli che funzionano, alle nostre latitudini, sono ben altri. E' la capacità di tirare le fila di un progetto di Cristiano Giuntoli, capace di lavorare in sintonia con l'allenatore e di fare scouting col suo gruppo di lavoro. E' l'abilità di Giuseppe Marotta e di Piero Ausilio nel creare una squadra di grande esperienza, un'ossatura solida, dove inserire poi tasselli sia tecnicamente che economicamente vantaggiosi (l'esempio di Mkhitaryan e quello di Thuram calzano a pennello) e dei giovani da crescere all'ombra dei big. E' il lavoro di Antonio Percassi e Tony D'Amico, che lavorano sul binario di un progetto consolidato fatto di idee e ambizione, rischi ma anche sempre più certezze (perché se la pressione sale, il margine d'errore s'assottiglia). A Roma il modello Red Bull non potrebbe funzionare, con tutte le pressioni della Capitale, che solo Claudio Lotito ha dimostrato di saper sostenere nel corso di tutti questi anni. E poi lo scouting di Maurizio Micheli a Napoli e la sintonia col Presidente Aurelio De Laurentiis (che non è certo un modello Red Bull). E via discorrendo, uno dopo l'altro. Ogni campanile col suo rintocco, ma ben distante da un'idea di calcio che in Italia potrebbe funzionare (forse!) solo in piazze dove la pressione è quasi azzerata. Ma con lei pure l'ambizione.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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