Oggi, 3 maggio, uno che onorò Bergamo e la Dea del pallone orobico con la sua sola presenza, pur senza mai giocare una partita, ne fa cinquantatré. E chissà se qualcuno si ricorda ancora di Malgioglio, il portiere, di nome Astutillo. Forse giusto per quello, anche se dietro il paravento della divisa c'era ben altro degno di rimanere stampato a caratteri indelebili nella memoria degli sportivi. I suoi compagni, all'ultimo giro di un percorso professionale avventuroso in guantoni e tacchetti, erano fasciati di nerazzurro. Gli stessi colori con cui, da riserva di un certo Walter Zenga, aveva conquistato lo scudetto nel 1989 agli ordini del Trap. Malgioglio, baffo simpatico e un cuore grande così, a un'onorata carriera ad altissimi livelli - fu anche convocato dal ct Vicini agli Europei Under 21 del 1980, senza scendere in campo - preferì sempre l'impegno a favore dei bambini con difficoltà motorie. E quando approdò all'Atalanta, nell'estate del 1991, per il canto del cigno di una vicenda calcistica che gli interessava il giusto, la sua associazione "Era 1977" (dalle iniziali della figlia Elena, della moglie Raffaella e del suo; l'anno corrispondeva all'inizio della sua dedizione ai distrofici), chiusa da qualche tempo per mancanza di fondi, era attivissima e fiorente.
Arrivò sotto le Mura per fare da secondo allo scattante Fabrizio Ferron, e in quella squadra che esaltava le folle - il compianto Bruno Giorgi la portò al decimo posto - tra i vicini di spogliatoio si segnalavano un centravanti do Brasil dal baffo ispido e il taglio di capelli tra il punk e il neomelodico (Careca III, alias Bianchezi), un Glenn Strömberg alle soglie del ritiro, la talentuosa faccia da schiaffi di Claudio Caniggia e la solida classe operaia di Carletto Perrone. Complice una serie di acciacchi, il nostro al massimo poté posare il piede sul pavimento della panchina. Ma chi può dimenticare la sua parabola, condita da vergognose polemiche contro il suo essere prima di tutto uomo generoso e sensibile, da rifiuti di un ambiente di robot mangiasoldi e dalla clamorosa querelle coi tifosi della Lazio? Accadde il 9 marzo 1986, l'aquila biancoceleste vivacchiava in B. Nel match dell'Olimpico contro il Vicenza, il finimondo: due gollacci forse evitabili, 3-4 finale, e in curva quello striscione più vigliacco di una coltellata alla schiena: "Tornatene dai tuoi mostri". La palestra di Piacenza, i macchinari per aiutare i bimbi colpiti da distrofia muscolare: era troppo, Astutillo sputò sulla maglia e la gettò ai dementi sugli spalti. Fine della storia nella Capitale e anche della sua vicenda calcistica, ma fu per poco: dopo il plateale ritiro, Giovanni Trapattoni gli telefonò per offrirgli l'Inter e una meritata fetta di gloria.
Nato a Piacenza il 3 maggio 1958, Malgioglio crebbe nelle giovanili della Cremonese, passò al Bologna e si affermò nel Brescia dove fu promosso in serie A nel 1980. Nella stagione successiva, il Brescia retrocesse. Tappe successive, nella Pistoiese e nell’estate ’83 alla Roma, dove Eriksson nonostante mille promesse lo relegò alle spalle di Tancredi. Nel Natale del 1977, l'incontro con i bambini distrofici. Malgioglio aveva 19 anni e passò una vigilia speciale. Da quel giorno, spese denaro e ferie per aiutare i meno fortunati. In totale, conta 44 presenze in serie A con 42 reti subite; nel palmarès, prima ancora del titolo nazionale con i nerazzurri di Milano (1988/89), la Coppa Italia con i giallorossi (1983/84). Auguri, campione.
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