Il pareggio col Napoli, il terzo consecutivo dopo le due vittorie di inizio campionato, non cambiano la sostanza dei ragionamenti fatti e da fare sulla stagione in corso. Non li cambia perché si intravedono i margini sul quale è stato fondato il nuovo progetto, e allo stesso tempo ne lascia intuire anche i limiti, dopo gli esperimenti provati e la comparazione con i risultati pieni (non) ottenuti. Se poi saremo qui a ripetere le stesse cose, o a minimizzarle senza fare passi in avanti, allora si tratterà di rivedere e correggere il tiro.
Resta il fatto che questa Juventus, la Juventus di Thiago e dei tifosi che reclamavano a gran voce un taglio col passato, prova a impostare il proprio gioco – ancora macchinoso - con ogni avversario. La regola dei tre gol fatti è durata due partite, mentre quella della porta inviolata ha dimostrato resistenza più longeva. Tutto attorno ruota un sistema di gioco dinamico che ha però bisogno di tempo per riuscire a trovare l'amalgama giusta tra i suoi interpreti. Non è solo nel capitolo spese, con i duecento milioni utilizzati per fare mercato, che si devono trovare le risposte, quanto nella fiducia che bisogna avere nelle risorse tecniche che si hanno a disposizione.
Thiago Motta è sicuramente un allenatore preparato e sicuro di sé, forse un “pelino” troppo, ma allo stesso tempo non disdegna coraggio nelle sue scelte.
Scelte – Il coraggio sta alla base della propria bravura. E la competenza, di conseguenza, aiuta a prendere le decisioni idonee. Per il tifoso, invece, l'unica strada percorribile è dettata dal successo e da chi ne decide le sorti. Non si guarda, insomma, il contorno che potrebbe invece diventarne la corazza per il futuro. Cambiare il dna a questa squadra, se non a questo club, nei modi di fare, giocare e di comunicare è la grande sfida da vincere. Giuntoli e compagni ci stanno provando, così come in campo i giocatori hanno capito che non serve essere i più forti (perché non lo sono), ma che lo possono dimostrare con un atteggiamento di squadra. La difesa regge come quando si primeggiava, ma non ditemi che Bremer, Gatti, e metteteci chi volete, sono più forti di tanti altri che hanno murato la Juve con dentro gli accattanti più temibili. Il reparto regge perché da lì si è cominciato a costruire il castello del gioco, assemblandolo con la copertura di un rivitalizzato Locatelli.
Da lì in avanti è tutto ancora un rebus, fatto di tentativi, incastri e scommesse. Perse quelle di Chiesa, Bernardeschi, Kulusevsky, e chissà quante altre andando indietro, la mancanza di un reparto offensivo completo ha prodotto la necessità di aiutare il soldato solitario Vlahovic con una manovra diversa da quella classica.
A faticare di più è proprio l'attaccante, con la sua caparbietà e i suoi limiti tecnici. Ma non è lui il “caso”. Lo è il non avergli acquistato una spalla e il non averlo messo in una rotazione in base alle caratteristiche delle avversarie. E se anche lo fosse, lo sarebbe meno di gente come lo svogliato Leao, o al pari di Lautaro che non segna da più tempo.
Ma anche sullo stesso piano di quei compagni di squadra a cui si tollerano molte più cose, anche prestazioni alla... Vlahovic. Ricordando che un gol lo si costruisce tutti assieme e che forse è più facile quando ti arrivano più palloni. Poi sarà il caso anche di analizzare chi deve far arrivare più palloni, visto che col Napoli i cambi non hanno riguardato Fagioli e neppure Douglas Luiz.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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