Dopo la sosta vedremo la vera Fiorentina: non lo ha promesso uno a caso, tipo l'elettricista del Viola Park, ma l'allenatore Palladino.
Basterebbe anche meno, ci potremmo accontentare che la Fiorentina fosse diversa da questa perché gli imbarazzi sono stati troppi, con picchi di inadeguatezza nella fase difensiva che hanno fatto scricchiolare il nuovo modulo di riferimento, il 3-4-2-1, esponendo l’ambizione alle grandinate senza ombrello. La linea a tre per ora è stata un disastro e, con tutto il rispetto per lui, non crediamo che Moreno possa cambiare il senso della vita (perché questa vita un senso non ce l’ha, come direbbe Vasco).
Chi è ottimista a prescindere potrebbe essere infastidito dalle critiche già in canna, come se l'allenatore fosse il prematuro terminale di una sfiducia più vasta, ma qui di calcio stiamo parlando e dopo 5 partite c'è anche troppo materiale per discutere. Chiariamo a scanso di equivoci che secondo noi dal mercato sono arrivati buoni giocatori, Gudmundsson su tutti, ma anche Gosens, De Gea, ovviamente Kean, Adli ha piedi raffinati, Colpani un giorno si ricorderà chi è stato nel Monza, e poi Bove, Cataldi, il promettente Richardson, una spuma di novità perfino superiore alle nostre previsioni. Continuiamo a considerare rischioso lo scambio ‘alla pari’ fra Milenkovic e Pongracic, durante questa benedetta sosta dovrà essere bravo Palladino a riunire le idee, riunendosi magari anche con i giocatori, aggiustando il tiro e il modo di gestire il pallone senza lasciare la difesa scoperta, tremolante, bassa eppure attaccabile in ampiezza. Non è mica lesa maestà: un allenatore che si confronta con il gruppo dimostra di essere intelligente, a meno che non abbia la forza di imporre i propri principi sulla scorta di buoni risultati. Non sembra esattamente questo il caso di Palladino, il quale anche contro il Monza ha visto come tutti noi alcuni imbarazzi-horror, spazi aperti con troppa facilità e squilibri di gestione. In particolare il primo gol segnato da Djuric (ma anche il secondo di Maldini) hanno confermato quanto sia ampia la distanza fra la voglia di verticalizzare e l'ingresso, invece, in un giro di schiaffi. Fateci caso: in tutte le partite, o quasi, i commenti finali di Palladino hanno elogiato la 'voglia di reazione' della squadra. Quello di cucire toppe in corsa non può diventare un mestiere, almeno non in una sartoria di livello medio alto.
E veniamo al punto, dopo aver ripercorso la evitabile crudeltà del vantaggio del Monza, un collage di scelte sbagliate da parte dei giocatori viola: Pereira scivola a destra perché Gosens in quel momento ha troppi metri da recuperare, Ranieri resta al limite dell'area per coprire un centrocampista che arriva, il ‘braccetto’ Biraghi si trova in marcatura sul centravanti Djuric. Davanti a loro, almeno venticinque metri di campo libero. Pereira ha di fronte un parco giochi, il cancello è aperto e infatti offre un cioccolatino rasoterra, Djuric va incontro alla palla e devia in rete non accorgendosi nemmeno di essere marcato da Biraghi.
Ma si può? In realtà tutti o quasi i gol subiti dalla Fiorentina, anche nelle altre partite, sono nati da sbandamenti e/o errori di valutazione personali da inserire in un clima di grande precarietà e insicurezza. Nel quale il ‘braccetto’ Biraghi sembra una ciliegina su una torta messa alla rovescia, perché il capitano a 32 anni è stato riciclato in un ruolo con il quale pochissimo sembra avere a che spartire, soprattutto in fase di marcatura e smazzate di testa quando in area vola di tutto, gomitate comprese, e servono doti fisiche superiori alla media. Controllare altezza, esperienza, predisposizione, peso e muscoli degli altri interpreti nella linea a tre delle difese italiane a fare un paragone. Anzi, meglio di no.
La domanda allora è: visto che a tutti sono chiare le difficoltà di Biraghi, perché Palladino lo ha adattato in quel ruolo? La risposta può essere questa: il capitano ha grandissimo ascendente nello spogliatoio e diventa complicato non utilizzarlo, anche perché in campo la sua è una presenza che ha un grande peso specifico per i compagni. L’arrivo di Gosens ha chiuso una porta sulla fascia e quindi Biraghi si è adattato - e questo gli fa onore - a riempire un’altra esigenza.
In realtà vederlo protagonista in una difesa a tre (che peraltro non ha altri interpreti adatti, a parte forse Ranieri, che però in queste partite ha mostrato alcuni limiti) sembra un rischio eccessivo. Ora tocca a Palladino, che dovrà dimostrare di non essere un integralista e di saper gestire il fitto capitale umano che gli è stato messo a disposizione, anche per un mercato che in uscita non è riuscito a limare alcuni giocatori in esubero. Un bravo allenatore è quello che riesce a tenere tutti uniti, anche quelli che giocano meno. Meglio non chiedere informazioni a Fonseca, che con Leao e Theo ha sperimentato che cosa significa sovvertire posizioni che si credevano acquisite nel tempo. Di sicuro, anche se fosse escluso, Biraghi non si allontanerebbe durante il cooling break, ma sarebbe insieme agli altri compagni per incitarli. In questo, un vero capitano.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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