Zlatan Ibrahimovic e il proseguo della sua avventura in Italia dopo gli anni alla Juventus. L'ex centravanti svedese ne ha parlato quest'oggi dal palco del 'Festival dello Sport' organizzato a Trento dalla 'Gazzetta dello Sport': "Dopo la Juve ero più vicino al Milan ma parlavo anche con l’Inter. Il Milan doveva aspettare però di passare il preliminare di Champions League. L’Inter capì la situazione e arrivò prima".
Zlatan, i suoi primi passi nel mondo del calcio. "Da bambino facevo tanti casini, ero sempre in giro a giocare a calcio. Ero anche bravo a scuola. Ovunque andavo io portavo il pallone perché giocavo ovunque, era la mia passione. Facevo anche tanti casini poi si cresce e si matura. All’Ajax l’inizio fu difficile perché tutti si aspettavano che potessi essere il nuovo Van Basten. Ma non ero pronto, era la prima volta fuori dalla Svezia e sentivo tante pressioni anche perché il mio fu un trasferimento record e spesero tanti soldi per acquistarmi dal Malmoe. Ho tenuto duro, lavorato bene e piano piano mentalmente sono diventato forte. Il secondo anno è andato bene e il terzo anno ho fatto il battesimo a tutti".
Su Raiola, questo il ricordo di Ibrahimovic: "Amsterdam per me è stata la città in cui ho conosciuto Mino Raiola. Ci siamo posti inizialmente in maniera arrogante entrambi. Il primo incontro fu ad un ristorante giapponese, arrivai ben vestito. Lui ordinò per 8 persone. Mi mise davanti a me i numeri dei più grandi attaccanti: Vieri, Shevchenko, Trezeguet, Inzaghi. Le statistiche di Ibracadabra non erano eccezionali. Lui mi disse con quei numeri non poteva vendermi ad una big. Poi per me divenne tutto: amico, papà, confidente. Siamo cresciuti insieme, le nostre carriere sono andate di pari passo. Siamo diventati forti insieme, i più forti di tutti. Io nella mia categoria e Mino nella sua. Ricordo che mi disse al primo incontro se volevo diventare più forte o più ricco. Io dissi che volevo diventare più forte e lui disse che andava bene così sarei diventato anche ricco. Gli ultimi momenti con lui sono stati difficili da vivere, sono state tante le emozioni. Provavo a portare a lui un po’ di positività ed energia cercando di non fargli pensare alla malattia. Lui lavorava per i suoi giocatori e non per i club. Mi ha sempre messo davanti a tutto ma non solo con me, è stato un generoso. Era forte Mino".
Sui suoi anni alla Juventus: “In Italia iniziai nella Juventus di Fabio Capello. Mi diceva che mi avrebbe tirato fuori tutto l’Ajax che avevo dentro. Mi dissi fra me e me ‘iniziamo bene’. Voleva da me più concretezza e da quel giorno sempre, ogni giorno, con Italo Galbiati lavoravamo sempre nei tiri in porta. Capello diceva che la mia tecnica era superiore a Van Basten ma non avevo i suoi movimenti. Abbiamo lavorato su questo aspetto. Trezeguet è stato intelligente perché ha saputo sfruttare bene il lavoro che facevo in campo. Lui faceva tanti gol a me sinceramente mi mancavano. Poi ho capito la mentalità del calcio italiano dove bisogna saper giocare bene e segnare. Dissi a Trezeguet che da quel momento in poi anche io avrei giocato più avanti. Gli scudetti della Juventus sono 38 perché abbiamo lottato ogni giorno dimostrando che eravamo i più forti in Italia. Non sono 37, gli scudetti della Juve sono 38”
Poi su Balotelli: "Quando un ragazzino ha la possibilità di sfruttare il suo talento per creare il futuro e perde le occasioni è un peccato. Balotelli ne ha avute tante e le ha perse tutte. Questa è la verità. Rafael Leao non è Balotelli, quel colpo di tacco sbagliato qualche partita fa è una roba geniale. Se segna così sei un genio. E quella cosa fa capire perché Leao è lì e Balotelli ed in tribuna".
Ancora sulla sua carriera in nerazzurro e non solo: “Con l’Inter segnai di tacco, in tutti i modi. Mi sentivo completo, forte, anche se sapevo di non aver raggiunto ancora il top. Mancini mi diede fiducia e responsabilità, mentre quando arrivò Mourinho la situazione cambiò. Quella squadra, come la mia Juventus, aveva il potenziale per vincere la Champions League. Prima del mio arrivo l’Inter non vinceva lo scudetto da 17 anni, sono rimasto nella storia del club per questo. Dopo andai al Barcellona, ho vinto anche lì dei trofei che non avevo mai vinto prima. Era un sogno andare in quella squadra perché era la più forte in assoluto, la più forte del Mondo. Ero carico e volevo crescere ancora di più per affrontare nuove sfide che potessero essere un test ulteriore anche per me stesso. Volevo mettere alla prova la mia qualità per vedere quale era la mia forza. I primi sei mesi andarono bene, nei successivi meno. Ma da qualcosa di negativo esce sempre qualcosa di buono. In campo le cose non sono andate bene però sono cresciuto e migliorato mentalmente. Della semifinale contro l’Inter ricordo una sfida tosta: a Milano perdemmo 3-1, ma ci fosse stato il VAR chissà come sarebbe finita. In casa vincemmo 1-0 ma non bastò. Il calcio però è così, tutti si aspettavano che avremmo vinto facile ed invece abbiamo perso. La Champions League speravo di poterla vincere con il Barcellona perché era una squadra troppo forte, troppo dominante. Era l’occasione giusta”.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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