La storia di Giovanni Scanu è davvero incredibile, quella di un uomo che a 48 anni ha già allenato in angoli del mondo che alcuni suoi colleghi non vedranno mai nemmeno per le vacanze e che ha respirato l'aria calcistica di tre continenti: oltre all'Europa che gli ha dato i natali, ha allenato pure in Asia e in Africa. L'abbiamo contattato per un'intervista esclusiva e approfondita sul suo percorso che merita di essere conosciuto e raccontato: “Ormai ho fatto praticamente ogni categoria. Sono partito dalla classica scuola calcio del quartiere, poi ho fatto U16, Seconda Categoria, la Prima, la Promozione… Da lì poi il secondo a Tempio e Como, dove abbiamo vinto due campionati e una Coppa Italia di Serie D. Poi sono stato a Olbia, quindi ho iniziato a camminare con le mie gambe. Mi si è prospettata un’occasione in Lituania, mi sono dimesso da Nuoro e il 4 gennaio 2012 sono andato in Lituania”.
Come nasce un salto del genere?
“A Nuoro avevo un giocatore lettone, Vaitkus, e parlando mi diceva che secondo lui avrei dovuto iniziare un certo percorso. Ci siamo iniziati a sentire col presidente del Tauras verso novembre, poi a gennaio sono partito. Per le difficoltà economiche abbiamo subito perso i più forti e fatto salire dei ragazzini, ci siamo salvati a quattro domeniche dalla fine. Per me è stato come vincere quel campionato, in Italia avevo già visto il professionismo ma la figura del vice è diversa. Poi il presidente abbandonò per grave malattia della moglie, io dovevo rinnovare ma poi è subentrato un certo discorso in Nigeria, andavo in una squadra di una città da 7 milioni di abitanti. Successero un sacco di cose, come ad esempio il sequestro del dottor Rossi da parte di Boko Haram, mi chiamarono dall’ambasciata e mi dissero di rientrare entro tre giorni o declinavano ogni responsabilità. Che dovevo fare, a quel punto? Periodo bello professionalmente parlando, la vita un po’ meno: andavamo al campo sotto scorta. Da loro c'era un direttore olandese, mi aveva notato e mi fece un’offerta economica irrinunciabile, ci accordammo rapidamente. Poi purtroppo successe quel che successe… Stavamo facendo molto bene, eravamo tra i più giovani del campionato”.
Poi torna in Lituania, sempre al Tauras.
“Sì, ma dopo di me erano retrocessi, si faceva la B. Tutto diverso, non c’era più il mio ex presidente, si vivacchiava, economicamente la situazione non era florida. A giugno mi liberano e vado in Brasile”.
Al Coritiba, club di nomea ma in grandi difficoltà.
“C’era un presidente che aveva fatto la Serie A a Treviso, Anderson. Persona molto affabile, mi trovai veramente bene. E poi il Brasile nasce per il calcio: facevo venti minuti per andare al centro sportivo, a bordo strada gente che vendeva cocco e mango palleggiando. Il centro sportivo era dietro la spiaggia, il campo d’allenamento a due passi. Calcisticamente un’esperienza importante, tanti giocatori sopra la media, extra campo peccano un po’, sono pure un po’ poltroni. Però per materiale tecnico sono di altra categoria. Poi il presidente mollò, aveva delle frizioni con gli altri soci. Però è stata un’esperienza molto importante, avevo l’attico sulla spiaggia, con la mia macchina e l’appartamento. Il Brasile è un paese straordinario e potevi godertelo in tutti gli aspetti. E poi la fortuna di avere un ristoratore sardo sotto casa: Ichnusa dopo ogni partita, tutte le sere! Sono venuto via mal volentieri. Ho risentito Anderson un anno fa, ha aperto una scuola calcio, ora vende talenti a Corinthians e Palmeiras”.
Dal Brasile si torna in Europa: passa all'Ungheria, al Tatabanya.
“Esonerarono Bruno Giordano, il presidente era Massimiliano Caruletti. Mi arriva una chiamata di un procuratore suo conterraneo, mi chiede se sono libero e mi dice che ha fatto il mio nome. Ero a cena, una domenica sera a casa mia di novembre, alle 22:30 mi richiama. Martedì mattina prendo l’aereo e atterro a Budapest. Da là è iniziata una tappa positiva, ho ancora tanta amicizia e stima con alcune di quelle persone. Il presidente, lui come la moglie (Eva Henger, ndr) aveva mille impicci e non seguiva molto, ma parliamo comunque di un club importante in Ungheria. Ho trovato giocatori come Kopunek, il mio capitano che ci eliminò dal Mondiale segnando con la Slovacchia. Ancora oggi ci sentiamo. Pensate che col premio partita di quando ci buttò fuori ci ha comprato casa”.
E poi altro volo internazionale: Bangladesh.
“Una botta allucinante, arrivo in una città da 22 milioni di abitanti, la capitale Dacca. Dall’aeroporto al centro sportivo quattro ore ed era dentro la città. Ancora io non ero sposato e avevo l’alloggio assieme ai calciatori che non avevano moglie, ricordo che per andare chessò a prendersi un pacchetto di patatine dovevi prenderti quel triciclo a motore, non dico il traffico. Purtroppo ho visto anche molta miseria, più in Asia che in Africa. Queste cose dalla mente non vanno via. C’erano grossi problemi, i giocatori non prendevano soldi da diversi mesi e c’erano nazionali congolesi, haitiani, gente che aveva fatto miglia con moglie e figli a carico. Mi proposero anche la panchina della Nazionale, dissi di no, alla fine andò al mio collega Fabio Lopez. Il presidente era esponente di un grosso partito politico, morì di tumore. Comunque conservo pure ricordi belli: un derby da 35mila persone, la squadra in generale rispondeva bene. Col direttore ci sentiamo ancora adesso, è diventato il team manager della Nazionale, l’ho sentito la settimana scorsa. Quello è un calcio povero tatticamente ma fatto da ragazzi straordinari, con grandi valori umani. Soffrivano e non lasciavano trasparire nulla, io però conoscevo le situazioni di ognuno. Non so da allenatore, ma è stato l’anno in cui sono cresciuto di più come uomo”.
Cos'è che poi la riporta in Lituania, al Nevezis?
“Il primo amore non si scorda mai… Rilevò la squadra Carlos Pizzi, argentino che fu anche procuratore di Roberto Carlos, aveva due soci che sono stati giocatori importanti della nostra Serie A. Tramite il dottor De Angelis della Camera di Commercio ecco che vado là. Poi purtroppo Carlos ebbe una grave malattia e tornò nelle Marche, dovette mollare. L’esperienza non è stata positiva. Avevamo un presidente che nonostante facesse solo quello era fuori dai canoni, fortunatamente c’era Carlos che di calcio ne capiva. Comunque un buon gruppo, dedito al lavoro, c'erano giocatori di sette nazionalità diverse con cui abbiamo fatto un bel campionato. Alla Lituania sono molto legato: ci ho fatto i patentini, ho amici, figliocci, il presidente federale Danilevicius è un grande amico. Lì conosco tutti, è un paese di enorme cultura che si porta dietro le sofferenze dell’invasione russa. Popolo indipendente, evoluto e molto aperto. L’87% delle donne in Lituania ha la laurea, per dirne una. Un paese vivibilissimo e gente dal carattere straordinario. Altrimenti non ci sarei andato tre volte”.
Poi però questo percorso la porta in Moldavia, allo Zimbru.
“Fu una grande occasione, poi purtroppo successe la pandemia e quindi stop. Però che organizzazione, che strutture: affittano lo stadio loro alla nazionale, è una specie di mini Bombonera. Avevamo un hotel, una cittadella sportiva che era una cosa immensa. Il proprietario è il vicepresidente della seconda compagnia petrolifera al mondo, l’uomo più influente di tutta la Moldavia. Eravamo partiti bene, sfidavamo lo Sheriff di Bordin, uno squadrone. E Chisinau è una bellissima città, molto filorussa a differenza per esempio di Vilnius. Io quest’ultima pensate che la preferisco a Praga o Budapest. Culture completamente diverse per quanto paesi vicini. A mio avviso comunque allo Zimbru è stata un’esperienza sfortunata: fossimo andati avanti potevamo davvero entrare in Europa. Riuscimmo a pareggiare con lo Sheriff, a battere le altre pretendenti… Non dico la Champions, ma negli altri posti. Covid? Mia moglie allora viveva a Napoli, fortunatamente presi l’aereo due giorni prima della chiusura dell’aeroporto internazionale. Sono stato fortunato, il periodo del Covid l’ho trascorso con lei. Altrimenti non sarebbe stato bellissimo”.
L'ultima tappa è forse la più incredibile: il Killimani, squadra di Zanzibar al largo della Tanzania.
“Calcisticamente da quest’anno diventeranno indipendenti. A Zanzibar ci sono 140 italiani residenti, ogni magnate va lì a fare le vacanze. La vita è bella, prendevo il battello, venti minuti ed ero su un atollo con mia moglie. Mangiavo italiano, sempre. L’unica cosa è che ci si allenava alle 6 del mattino perché il giorno c’erano quaranta gradi, quello era l’unico scomodo. Là ho fatto davvero tutto, c’è stato un bellissimo rapporto. Potrebbe esserci uno sviluppo da ct della Nazionale, di Zanzibar che diverrà indipendente nei primi mesi del 2024. Potrei fare la storia e diventare il primo ct della loro nazionale, però gli scenari cambiano, con una famiglia hai certe esigenze. Mia moglie ha una vita in Sardegna, esistono priorità. Io sono italiano e mi sento italiano, diciamocelo chiaramente”.
Vorrebbe quindi finalmente tornare a casa, 12 anni dopo?
“Sì ma c’è reticenza, ti viene detto che preferiscono chi conosce già certe categorie. Io vengo da una famiglia molto umile e nel calcio il campo è giudice. Chi dimostra va avanti, nel mio piccolo percorso credo di aver fatto cose anche abbastanza importanti. Non dico che sono pronto a fare una Serie B o una C, l’importante è che le società abbiano la prospettiva di poter dare un’opportunità. Mi sto affidando a Luigi Di Martino, avvocato romano, per poter trovare qualche soluzione. Non è semplice, ma ci sono alcune cose in standby: non posso aspettare le calende greche, ci stiamo provando in ogni salsa. Sono aperto a parlare con chiunque, qualche chiacchiera è stata fatta ma c’è sempre un po’ di barriera. Io conosco perché mi aggiorno, guardo le partite, il discorso è di avere però orizzonti più aperti. Anche in Italia si possono portare cose che non ci sono, prendendo metodologie da altri paesi. Vi dirò, persino una Primavera potrebbe essere interessante, pensate a quanti giovani diversi ho visto. Sono una persona umile, non guardo nemmeno alle categorie, seppure i cinque anni di massima serie non me li toglie nessuno”.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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