Anche a non essere scaramantici, scorrendo il curriculum di certi giocatori il primo pensiero va a un ferro di cavallo. Figurarsi, poi, se con la miseria di 13 apparizioni in tre stagioni complessive - una di A, due di B - riescono a far coincidere la propria esperienza al servizio di una squadra con la fine del ciclo di un allenatore dalla fama di eroe, assistendo al giro immediatamente successivo al mancato ritorno in A dell'intera truppa. Coincidenze sinistre verificatesi puntualmente nella carriera buffa e paradossale del festeggiato di giornata, Robert Englaro, lo sloveno del mistero - che oggi dice 42 - arruolato dall'Atalanta nell'ultimo triennio del ventesimo secolo. Un terzino - o almeno così si diceva - che accompagnò Emiliano Mondonico alla fine del suo ciclo alla guida dei nerazzurri, con un declassamento arrivato sul filo di lana. Il bello è che proprio il Mondo fu, dei tre profeti della panchina passati in quegli anni dalle parti di Zingonia, quello che regalò più chances al nostro oggetto del mistero: 12 presenze in campionato e 5 in Coppa Italia, munifici presenti contraccambiati dall'interessato nell'unico modo che conosceva di concepire il calcio, ovvero tamponare senza veemenza eccessiva e vangare la corsia alla ricerca di un improbabile sostegno, da fluidificante quale si piccava di essere, alla manovra dei suoi. Sono ormai consegnate al mito, nella memoria degli appassionati, le istantanee che lo vedono reclamare palla agli altri dieci in campo a braccio alzato, nella vana e speranzosa attesa che l'agognato attrezzo da lavoro raggiungesse celermente i suoi piedi.

Lo slavo dal cognome con assonanze vagamente friulane, nato a Novo Mesto il 28 agosto 1969 e passato per la gloriosa Olimpia Lubiana prima di approdare nel Belpaese grazie a una non troppo lungimirante scelta di mercato del Foggia nel 1996, sotto la guida del Baffo di Rivolta sparò praticamente tutte le sue cartucce. Uno jettatore, più che una riserva pescata nel mare magnum spalancato davanti alle società di provincia dalla legge Bosman? Il sospetto ci sarebbe, visto che Lino Mutti con lui nella rosa non riuscì nell'intento di riportare la Bergamo calcistica al piano di sopra. Le epifanìe del nazionale sloveno - 36 gettoni a difesa della bandiera patria: arcano insolvibile pure questo - si riducono a una soltanto nella cadetterìa, più un paio nel trofeo della coccarda tricolore. Poca roba? A Giovanni Vavassori, nel 1999/2000 del rilancio, furono probabilmente sufficienti i trascorsi a Napoli come calciatore per riconoscere a prima vista l'amuleto al contrario. Che difatti non ebbe più occasione di alzare la famosa pelata e lo stomaco impiegatizio dal fondo della panca o dalla tribuna, ormai sua destinazione obbligata. Rientrato sul suolo natìo per concludere la propria parabola professionale nel NK Lubiana, dopo il ritiro (2003) è stato ben presto inquadrato nei ruoli federali. Non come selezionatore, bensì come "trainer" (una sorte di vice, ma senza poteri decisionali) delle Nazionali giovanili del suo Paese. E pazienza se coi tacchetti ai piedi non fu esattamente vera gloria. Tanti auguri.

Sezione: Auguri a... / Data: Dom 28 agosto 2011 alle 09:30
Autore: Simone Fornoni
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