Chi frequenta Appiano, o la pancia di San Siro dopo le partite dell’Inter, è rimasto sorpreso lunedì sera. Non dalla vittoria dell’Inter, meritata ma nell’ordine delle cose perché un altro passo con la Fiorentina non era immaginabile, ma dai toni della conferenza stampa che vi ha fatto seguito. Simone Inzaghi ha alzato la voce, proprio all’ultimo: una rarità, per un allenatore che ha fatto della calma olimpica uno dei suoi mantra, anche quando veniva (viene?) trattato neanche fosse l’ultimo dei fessi.
A farlo arrabbiare, il rigorino per il mani di Darmian. Un intervento, per la cronaca, francamente evitabile per chi vuole preservare lo spirito del gioco, ma pericolosamente in linea con i precedenti stagionali: a oggi quello è (ahinoi) rigore. Se ne può - se ne deve - discutere in chiave futura, perché cozza col buonsenso tanto quanto alcuni aspetti della gestione (umana) della tecnologia che avrebbe dovuto far morire le polemiche e invece le ha rese più aspre. Ma dietro la rabbia di Inzaghi c’è di più.
Non è la prima volta che l’allenatore interista recrimina per alcune decisioni arbitrali non gradite. O per un calendario che a febbraio immaginava diverso da quello che un po’ tutti sapevano inevitabile. L’impressione è che chieda alla società di fare il suo, e che dall’altra parte non ci sia troppo interesse a esporsi. Sbaglieremo vibes, per carità, e di sicuro non si registra nulla di paragonabile allo scollamento pressoché totale registrato nella fase più nera della stagione poi passata alla storia per il raggiungimento della finale di Champions. Ma forse c’entra qualcosa il fatto che, al quarto anno di Inter, Inzaghi si trovi finalmente a fronteggiare il fantasma che inevitabilmente ha aleggiato nelle stanze della Pinetina finora.
Non è un caso, per esempio, che proprio nei momenti più complicati di quell’annata, fu l’ipotesi - in verità mai concreta, almeno da parte della dirigenza - di un ritorno di Antonio Conte a infastidire più di tutto l’allenatore piacentino. Chiamato costantemente a essere confrontato con il lavoro di chi l’ha preceduto e con la sua eredità, come se tutto il buono derivasse dal salentino e nel frattempo non avesse aggiunto poi molto, Inzaghi ha l’occasione di chiudere la partita. Ed è un duello che scopre nervi tesi. Perché il tecnico nerazzurro sente parlare sempre di se stesso quando si perde, e poi dei giocatori quando si vince: sarà in parte questione di percezione, ma Inzaghi non sempre si vede riconosciuti meriti acquisiti sul campo - questione di risultati sportivi ed economici, come pure di valorizzazione dei giocatori - e chissà che la questione non riguardi solo la stampa.
Quanto al duello, si giocherà tanto, se non tutto, sul dato nervoso. Ed è una partita relativamente inedita per Inzaghi, alla quale Conte, bravissimo nel logorare chi non ce l’ha più di chi ce l’ha, è invece decisamente abituato. L’elettricità respirata in casa Inter nelle ultime uscite va canalizzata nella giusta maniera, altrimenti il rischio di blackout come quello del Franchi - una gara così buia che meriterebbe qualche spiegazione ulteriore e non di essere trattata solo come incidente di percorso - è sempre dietro l’angolo. La lunga marcia verso il primo weekend di marzo è iniziata da un pezzo, per quanto lo scontro diretto potrebbe tranquillamente anche non decidere nulla.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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